Periodo artistico e culturale che si sviluppò a Firenze e da qui si diffuse in tutta Europa a partire dalla metà del XIV secolo fino alla fine del XVI secolo. Il termine venne inventato da un gruppo di intellettuali che frequntavano la corte di Lorenzo de' Medici per indicare il rinnovamento delle arti attraverso la riscoperta degli antichi.
È la rinascita della civiltà classica che porta a creare qualcosa di nuovo.
Concetti fondamentali
La riscoperta dell'antico porta ad una nuova civiltà
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In Italia nel Quattrocento, nasce un nuovo interesse per la cultura classica in tutti i suoi aspetti: gli intellettuali e i letterati studiano il latino e il greco, la letteratura antica, la filosofia, la storia.
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Pittori, scultori e architetti vanno a Roma per osservare e disegnare i monumenti e le statue dell'arte greca e romana che vengono portate alla luce casualmente durante la costruzione di nuovi edifici. Non si limitano però a copiarli: ne assimilano gli elementi più importanti per riproporli in opere originali e nuove.
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Si formano le prime collezioni di opere greche e romane alla corte dei signori che si affermano politicamente in questo periodo, come per esempio alla corte fiorentina di Lorenzo il Magnifico.
L'uomo è misura e centro della realtà
Prospettiva lineare:
metodo basato sulla matematica che serve a rappresentare la profondità dello spazio e il volume delle figure su una superficie bidimensionale.
Le regole della prospettiva vennero descritte per la prima volta dall'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi (1377 – 1446) e meglio precisate da Leon Battista Alberti, architetto genovese (1404 – 1472).
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L'uomo, in quanto capace di pensare e sentire, è al centro degli interessi degli intellettuali e degli artisti.
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Con le sue capacità, l'uomo è in grado di conoscere ciò che lo circonda attraverso la ragione e attraverso la scoperta di regole scientifiche e matematiche.
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Rinasce un profondo interesse anche nei confronti dei filosofi e matematici arabi le cui opere erano state salvate dalla cura degli amanuensi medievali negli scriptoria dei monasteri.
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Come nella cultura classica, l'uomo viene considerato 'misura di tutte le cose', riferimento di ogni cosa nell'universo.
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Per rappresentare la realtà in cui vive l'uomo, viene inventata la prospettiva lineare, un metodo che permette di riprodurre lo spazio su una superficie piana per mezzo di regole matematiche.
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Leonardo da Vinci, artista, ma soprattutto grande studioso del periodo rinascimentale, osservando la natura, arriva a comprendere perché gli oggetti lontani ci appaiono sfocati e di colore incerto, tendente all'azzurro. Al fenomeno che osserva da il nome di prospettiva aerea e lo spiega come veli di aria che si frappongono tra l'occhio dell'osservatore e l'oggetto.
Simmetria e proporzione in architettura
a misura d'uomo: nel Rinascimento il corpo umano diventa l'unità di misura in base alla quale calcolare le proporzioni degli edifici.
modulo: unità elementare con cui si misura o si dà forma a una struttura complessa. Nell'architettura rinascimentale, si tratta di un riquadro contenente una o più figure geometriche che viene ripetuto più volte in modo da dare proporzioni equilibrate ad un edificio.
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I monumenti e le antiche rovine che ancora si conservavano a Roma sono la fonte di ispirazione degli architetti rinascimentali.
Da questi, essi riprendono i concetti di
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simmetria e di
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proporzione delle forme,
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gli elementi decorativi e
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l'utilizzo degli ordini architettonici che applicano per riprogettare con rigorosa armonia i nuovi edifici.
Gli architetti rinascimentali cercano di creare la giusta proporzione che permetta di armonizzare l'edificio e di progettarlo a misura d'uomo. Per raggiungere il loro obiettivo, si basano su regole geometriche e sull'uso del modulo.
La natura come modello
Il termine corretto, in questo periodo della storia dell'arte, per descrivere la tendenza degli artisti a rappresentare l'uomo e il suo mondo in modo più fedele, è naturalismo.
Il Realismo, infatti, è un movimento artistico che appartiene all'Ottocento, quindi si evita di usare questo termine per non fare confusione.
l'artista rinascimentale
Pittori e scultori studiano l'anatomia del corpo umano per rendere meglio gesti e movimenti, oltre che forme e proporzioni, ma anche per riuscire a raffigurare sempre meglio i sentimenti.
La natura diventa il modello da imitare: pian piano si abbandona l'uso del fondo oro nei dipinti; i paesaggi e lo spazio vengono rappresentati in modo più realistico. L'uomo è rappresentato inserito nel suo ambiente, sia naturale che urbano.
Il concetto stesso di artista cambia nel Rinascimento. Per tutto il Medioevo l'artista era considerato come un decoratore dotato di capacità tecniche, ma privo di capacità intellettuali.
Nel Rinascimento, invece, l'artista viene riconosciuto sia come esperto nelle discipline tecniche, ma anche come un intellettuale. Le opere diventano dei testi visivi complessi che esprimono in tutto e per tutto il clima culturale del tempo di cui l'artista si fa interprete originale e che nascondono messaggi che solo persone altrettanto colte possono comprendere pienamente.
Non mancano i casi di artisti che ci lasciano anche testi poetici e letterari, come Michelangelo Buonarroti, o studi scientifici, come Leonardo da Vinci.
Titolo 5
Il Rinascimento a Brescia
Nel 1426 Brescia entra a far parte del territorio della Repubblica Veneta, alla quale rimane legata fino al 1797. Episodio che turba i quattro secoli di stabilità della sudditanza a Venezia è il terribile assedio delle truppe viscontee comandate da Niccolò Piccinino [1] che dura dal 1438 fino al 1440. Anche il breve intervallo di dominazione francese (1509-16) segnò un momento tragico della storia bresciana con uno dei più feroci saccheggi che si ricordi.
Brixia fidelis scrivono i Veneti dal XVI secolo accanto allo stemma della città che, riconquistata nel 1516, viene fortificata: il Castello è circondato da una seconda cerchia di mura, viene eseguita la "spianata", cioè la distruzione, per ragioni militari, di ogni edificio esterno alle mura cittadine per un miglio; viene scavata una trincea per separare il Castello dai Ronchi ed è terminata nel 1610 la ricostruzione della cinta muraria esterna rinforzata dai moderni baluardi di Canton Mombello e della Posterla.
Nei primi due secoli della dominazione veneta Brescia si trasforma da città medioevale in città che, pur al confine dei possedimenti, del potere della Serenissima è espressione di decoro e magnificenza.
Vengono redistribuiti gli spazi urbani (con l’apertura, soprattutto, delle piazze della Loggia e del Mercato), si creano nuove vie (viene coperto il torrente Garza) lungo le quali si allineano ordinatamente le case con facciate affrescate; un grande ospedale unifica i numerosi ospizi e, nell’attuale zona di piazza della Vittoria, viene organizzato un complesso sistema di spazi commerciali.
All’inizio del XVI secolo Brescia conta circa 40.000 abitanti e, dopo l’interruzione dell’occupazione francese, riprende il fervore costruttivo, reso possibile anche dalle nuove aree edificabili disponibili dopo l’abbattimento della Cittadella viscontea, sbarramento che ostacolava i traffici urbani, sempre più intensi.
Vengono redistribuiti gli spazi urbani (con l’apertura, soprattutto, delle piazze della Loggia e del Mercato), si creano nuove vie (viene coperto il torrente Garza) lungo le quali si allineano ordinatamente le case con facciate affrescate; un grande ospedale unifica i numerosi ospizi e, nell’attuale zona di piazza della Vittoria, viene organizzato un complesso sistema di spazi commerciali.
All’inizio del XVI secolo Brescia conta circa 40.000 abitanti e, dopo l’interruzione dell’occupazione francese, riprende il fervore costruttivo, reso possibile anche dalle nuove Il lungo periodo di pace porta ad un notevole sviluppo economico (con la produzione e lavorazione della lana, della seta e delle armi, immesse poi nelle vie commerciali che Venezia aveva aperto da tempo), ed a una buona fioritura delle scienze, delle lettere, dell'architettura, della scultura e, soprattutto, della pittura.
Il lungo periodo di pace porta ad un notevole sviluppo economico (con la produzione e lavorazione della lana, della seta e delle armi, immesse poi nelle vie commerciali che Venezia aveva aperto da tempo), ed a una buona fioritura delle scienze, delle lettere, dell'architettura, della scultura e, soprattutto, della pittura.
[1] Nel 1437 ripresero le ostilità tra Venezia e Milano e Brescia si ritrovò coinvolta nel conflitto. L'esercito della Repubblica, incalzato da quello visconteo (agli ordini del Piccinino), trovò una via di fuga in Valle Sabbia e lasciò la nostra città completamente sguarnita di fronte al nemico. Nel 1438 incominciò l'assedio e la cittadinanza intera si mobilitò per difendere i confini cittadini. Uomini e donne bresciani opposero strenua resistenza e riuscirono così a respingere gli assalti degli uomini di Piccinino. Vinto dal loro coraggio quest'ultimo decise di affamare la città bloccandole ogni via d'accesso. Brescia si trovò in ginocchio e Pietro Avogadro venne inviato a Venezia per chiedere aiuti. Il 14 giugno del 1440 Francesco Sforza, a capo delle milizie della Repubblica, riuscì a sconfiggere - presso Soncino - il nemico. Venezia diede l'appellativo di Brixia Fidelis alla città.
Dopo la pace di Lodi (1454) Brescia conobbe un periodo di serenità e di espansione economica, che perdurò per tutta la seconda metà del XV secolo. Il mondo dell'arte e dell'architettura ebbero a beneficiare di questa situazione, fu infatti in questo periodo che vennero eseguite diverse opere importanti: la Loggia, la Torre dell'Orologio, il Monte Vecchio di Pietà, la chiesa dei Miracoli, l'ospedale e molti altri palazzi, chiese e conventi. Vissero in questo periodo Vincenzo Foppa (1427 - 1515), il più illustre esponente della pittura lombarda, e Antonio Zurlengo, famoso architetto.
Tra il 1478 e il 1479 Brescia fu colpita dalla peste, si calcola che i morti furono all'incirca trentamila.
L'esercito veneto (cui erano aggregati 7.000 bresciani) venne sconfitto da quello della lega di Cambrai - ideata da Papa Giulio II e di cui faceva parte Luigi XII - nella battaglia della Ghiara d'Adda (1509). Brescia si spaccò in due: chi per Venezia, chi per i francesi. Alla fine, prevalsero questi ultimi e a Luigi XII vennero consegnate le chiavi della città.
Il popolo, come pure la borghesia e parte dei nobili, non gradì l'arroganza dei francesi e così il malcontento iniziò a dilagare. Nel 1512 Luigi Avogadro organizzò una ribellione per reintegrare Brescia a Venezia. La rivolta venne sedata e molti Bresciani vennero barbaramente uccisi dai soldati Francesi capeggiati da Gastone di Foix (sacco di Brescia).
Intanto nel 1510 Papa Giulio II sciolse la lega dei Cambrai e nel 1511 costituì una nuova alleanza con Venezia e Spagna (Lega Santa) contro l'alleato di un tempo: il re di Francia. Brescia era sotto il controllo dei Francesi (1512) quando l'esercito veneto cercò di assediarla, ma gli oppressori trovarono un accordo con gli spagnoli i quali si impossessarono della città. Venezia, considerando Brescia molto importante, si alleò con i Francesi nella speranza di riconquistare la città. Nel 1515 iniziò l'assedio e il conseguente bombardamento franco - veneto, gli spagnoli resistendo tenacemente. Fu solo l'anno seguente (26 maggio 1516) che vide gli Spagnoli finalmente arresi e Brescia nuovamente veneta, giorno di grandissimo gaudio per tutta la cittadinanza.
Essa fu avviata dal caposcuola della pittura lombarda del Quattrocento, Vincenzo Foppa (1427 circa 1515) ed il suo insegnamento fu accolto da tre maestri del Cinquecento bresciano: Romanino (1485-1566), Moretto (1498 – 1554) e Savoldo (1480 - 1540) non esenti dagli influssi esercitati da grandi pittori dell’area veneta, primo fra tutti Tiziano che dipinge per il nobile bresciano Altobello Averoldi uno dei suoi capolavori giovanili, il polittico Averoldi (1522), per la chiesa dei SS. Nazaro e Celso (dove a tutt’oggi è conservato).
La città aveva subito importanti trasformazioni, che non solo servivano a renderla una città più sicura, ma avevano lo scopo di dichiarare più marcatamente il lusso, l’importanza e il fasto del potere dominante, la Serenissima Repubblica di Venezia. Gli artisti locali si adeguano al nuovo gusto che proviene dalla Laguna e le grandi famiglie aristocratiche fanno a gara per rendere le proprie abitazioni sempre più lussuose e moderne, arricchendole di immagini sia all’esterno che all’interno.
Il Rinascimento bresciano
è una delle declinazioni principali dell'arte rinascimentale in Italia. L'importanza della città sulla scena artistica si espanse solo a partire dal Cinquecento, quando artisti forestieri e locali diedero origine a un'originale sintesi dei modi lombardi e veneziani, grazie anche alla particolare posizione geografiche della città: territorio conteso tra Milano (e i suoi dominatori) e Venezia. I maestri bresciani furono all'origine di una "terza via" del Rinascimento maturo, dopo quella romano-fiorentina e quella veneziana.
Gli albori
I primissimi, vaghi accenni a un nuovo gusto decorativo e compositivo che sorpassasse il gotico internazionale si ebbero, in campo pittorico, in alcune opere "calate dall'alto" nella Brescia medievale quattrocentesca, in primis il Polittico di Sant'Orsola di Antonio Vivarini per la chiesa di San Pietro in Oliveto. L'opera ebbe influenze notevoli sull'arte locale, riscontrabili ad esempio nell'evoluzione dell'arte di Paolo da Caylina il Vecchio.
Altra opera proto-rinascimentale prepotentemente "calata dall'alto" nella Brescia quattrocentesca fu l'Annunciazione di Jacopo Bellini eseguita per la chiesa di Sant'Alessandro, fedele al linguaggio del gotico internazionale, ma con relative novità nella concezione spaziale e nell'atteggiamento delle figure.
Altri movimenti in questo senso sono rilevabili in opere sporadiche prodotte dalla cultura locale nella seconda metà del secolo, quali la grande tavola del San Giorgio e la principessa dove gli aristocratici stilemi gotici importati a Brescia da Gentile da Fabriano nella cappella di San Giorgio al Broletto, perduta, evolvono verso nuovi dosaggi spaziali e luministici, propriamente rinascimentali.
I maestri del pieno Rinascimento
Il disastroso sacco di Brescia del 1512 mise in ginocchio la città. La Serenissima intervenne ancor più drasticamente, operando la cosiddetta "spianata", cioè la distruzione di qualsiasi edificio entro un chilometro e mezzo dalla cinta muraria, onde eliminare qualsiasi riparo o nascondiglio per gli aggressori. I beni immobili perduti furono innumerevoli e diversi cenobi, distrutta l'originaria sede, si videro costretti a riparare in città, edificando entro la cinta nuove chiese e monasteri.
Al generale danno economico, sovrapposto alle già onerose ricostruzioni da operarsi dopo il sacco, la Repubblica di Venezia rispose offrendo riduzioni e talvolta esenzioni da tasse, in modo da poter restaurare e ricostruire le chiese, i conventi e i monasteri saccheggiati o del tutto distrutti con la spianata.
In quel periodo nacque così una vivace committenza artistica, che favorì l'emergenza di personalità locali. Dal 1520 circa (la spianata fu operata tra il 1516 e il 1517) si ha quindi l'affermazione di un gruppo di pittori quasi coetanei che, fondendo le radici culturali lombarde e veneziane, svilupparono risultati di grande originalità nel panorama artistico della penisola: il Romanino, il Moretto e il Savoldo.
In provvidenziale coincidenza si ha, nel 1522, l'arrivo a Brescia del Polittico Averoldi di Tiziano per il presbiterio della collegiata dei Santi Nazaro e Celso, che conoscerà una larghissima, immediata fortuna tra gli esponenti artistici locali e costituirà un basilare punto di riferimento nell'esecuzione di un'intera serie di nuove opere d'arte.
Alessandro Bonvicino, detto il Moretto
La cena in Emmaus
lAlessandro Bonvicino detto il moretto, La cena in Emmaus. Disegno a inchiostro conservato presso lo Statens Museum for Kunst di Copenhagen, ID 1273355
Appunti analisi del quadro:
Osservazione dell’opera:
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formato del quadro
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tecnica
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indicazioni sullo stile artistico del quadro e di Moretto (Rinascimento - di cui dovresti saper indicare gli elementi fondamentali). L’opera è uno dei pochi dipinti di artisti bresciani acquistati da Paolo Tosio, che ha costruito la propria collezione in epoca Neoclassica e che sceglie questo artista perché nel suo stile gli aspetti classici sono più accentuati (eleganza delle figure, espressioni un po’ distaccate dei personaggi).
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descrizione partendo dallo sfondo (architettura classica - collegamento con le scelte stilistiche del Rinascimento, sfondo scuro che permette a Moretto di utilizzare delle luci teatrali che evidenziano i soggetti)
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i committenti rappresentati ai lati: La loro identità non è nota; è stata avanzata l’ipotesi che il quadro sia stato commissionato a Moretto dal nobile bresciano Jacopo de Cucchis , consigliere speciale dell’amministrazione dell’Ospedale tra il 1526 e il 1527 e che i due ritratti raffigurino il suo amato nipote Giovanni Battista e la figlia di quest’ultimo, Stratonica.
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osservazione delle due figure laterali: i due personaggi sono rappresentati in abiti eleganti e rinascimentali. I due personaggi interpretano un ruolo nel quadro: l’uomo interpreta il ruolo dell’oste, mentre la ragazza interpreta quello di una cameriera che porta in tavola un pollo lesso su un vassoio di metallo. L’abito è molto elegante, di colore rosso (colore che all’epoca era riservato solo ai nobili); al collo ha una collana di coralli e sulla testa indossa una ‘capigliara’. Qui Moretto usa una modalità comune nelle opere del Rinascimento: nelle opere di argomento sacro, commissionate, vengono inseriti i ritratti dei committenti, ma questi si distinguono dai personaggi sacri per l’abbigliamento moderno, rispetto ai soggetti sacri che sono vestiti all’antica. I committenti sono sempre in posizione defilata, ai lati della scena principale. Non impersonano mai personaggi sacri, ma eventualmente figure di contorno, personaggi umili, come nel caso di Stratonica.
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tavolo al centro con stoviglie (bicchieri di vetro delineati con sottili linee bianche). Attorno al tavolo sono sedute tre figure: sono a piedi nudi e sono vestite con delle tuniche all’antica. La figura al centro è descritta in modo non esplicito: il Moretto ci mette nella stessa condizione dei discepoli che non riconoscono Gesù quando lo incontrano sulla strada, ma che lo riconoscono solo quando spezza il pane. Gesù è vestito come un pellegrino: indossa un mantello su cui è ben visibile una conchiglia (la conchiglia era segno dei pellegrini che avevano raggiunto il santuario di Compostela e che veniva utilizzata per bere alle fonti); sul capo porta un cappello a larghe tese su cui sono distinguibili alcuni elementi simbolici che fanno riferimento al martirio di Gesù, come i chiodi, i dadi, la spada, i denari. Una leggera illuminazione dietro al cappello aiuta l’osservatore a capire che il personaggio non è un semplice essere umano, ma che è dotato di una luce spirituale che il travestimento non riesce a nascondere completamente.
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La scena è illuminata da destra verso sinistra
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La composizione è piramidale
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gli sguardi dei personaggi sono rivolti verso il centro del quadro; solo Gesù guarda fuori dal quadro, per entrare in contatto con l’osservatore e fargli comprendere come il messaggio del quadro sia rivolto a lui.