La Costituzione Italiana all'Articolo 3 recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Spesso, affrontando questo argomento ci si sofferma a considerare come la donna sia rappresentata all’interno delle opere d’arte: le donne sono belle, seducenti, desiderabili, sono rappresentate come ‘angeli del focolare’, madri, spose, madonne, oppure portano i segni di una vita difficile, a volte sono additate come seduttrici, che allontanano l’uomo dalla retta via, come forze del male. È una visione, questa, nella quale la donna è vista come oggetto e che è legata sostanzialmente ad una visione maschile, poiché uomini sono la maggioranza degli artisti.
Questa visione però è parziale e non tiene conto di come le donne vedono se stesse e il mondo. Eppure, molte sono le donne artiste, anche se la loro fama spesso non raggiunge quella dei colleghi maschi. Il mondo dell’arte fatica a riconoscerle e a concedere loro uguale spazio e a riconoscerne l’uguale valore artistico. Molta strada è stata fatta nella storia, ma molta resta ancora da percorrere come dimostrano i recenti studi sull’argomento.
Donne Artiste in Italia - Presenza e Rappresentazione, risultato di un seminario interdisciplinare sugli studi di genere nelle arti visive promosso dal Dipartimento di Arti Visive di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano nel contesto del Master in Contemporary Art Markets tra 2016 e 2018.
Era il 1971 quando su ARTnews la storica dell'arte americana Linda Nochlin pubblicava Perché non ci sono state grandi donne artiste? testo che sanciva la nascita di una nuova consapevolezza sulla posizione sociale delle artiste e dava voce al movimento femminista nei dipartimenti di storia dell'arte.
Quarantacinque anni dopo la situazione è certamente cambiata: le donne sono riconosciute tra i protagonisti della stagione del contemporaneo e alcune riscoperte stanno
contribuendo a restituire visibilità ad artiste storiche a lungo rimaste nell'ombra. Mostre internazionali, convegni, così come il mercato delle gallerie private, hanno contribuito a generare un'attenzione in costante crescita negli ultimi anni.
Seppur maggiormente presenti, le donne artiste tuttavia rimangono spesso nei contesti citati un fenomeno da tematizzare e presentare in forma separata, e solo alcuni grandi nomi spiccano in autonomia tra tutti.
È dunque ancora attuale chiedersi quale sia la condizione delle donne nel campo dell'arte ovvero quale sia la reale inclusione delle artiste nel sistema, e in particolare se la visibilità oggi dedicata al loro lavoro sia un elemento di effettivo cambiamento, sufficiente a rendere la disparità di genere un ricordo del secolo scorso.
… era il 1985 quando le Guerrilla Girls iniziavano a diffondere i loro iconici poster dove, con sferzante ironia, davano conto dell'esiguo numero di donne presenti nelle
collezioni delle istituzioni museali e nei programmi delle gallerie commerciali, negli Stati Uniti e non solo.
Il loro lavoro è stato d'esempio anche per generazioni successive.
Whitechapel Gallery Guerrilla Girls Commission, Is it even worse in Europe? 2016; foto: David Parry/PA Wire; courtesy Guerrilla Girls and Whitechapel, Londra
Fonte dei dati riportati:
Donne Artiste in Italia - Presenza e Rappresentazione, risultato di un seminario interdisciplinare sugli studi
di genere nelle arti visive promosso dal Dipartimento di Arti Visive di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano nel contesto del Master in Contemporary Art Markets tra 2016 e 2018
Commenti di alcune artiste:
“Dopo Brera, vent'anni fa sono andata fuori a studiare fuori dall'Italia e non sono più tornata “
“Ho l'impressione che in Italia manchi un'organizzazione generalmente professionale e professionalizzata dell'arte contemporanea e che molto venga lasciato all'iniziativa dei singoli “
“Da due anni sto vivendo un compromesso tra il fare ricerca e avere una professione extra attraverso cui mantenermi. Attualmente però ho accettato un lavoro che mi impedisce di avere tempo libero a sufficienza per essere libera di pensare. Questo per me è molto frustrante “
“Amo l’Italia, ma per sopravvivere come artista e sentirmi riconosciuta sono dovuta andare all'estero (prima a New York, poi a Berlino), dove ho trovato molti interlocutori. Oggi vivo per lo più in Italia, ma ancora le occasioni migliori mi capitano all’estero “
“I fattori di esclusione sono spesso alla base dei processi di valorizzazione. Questo dipende dal modo in cui il valore si crea nella nostra società; è un problema di fondo, sistemico, non di “quote rosa”.
“Penso che lo status dell’artista donna sia il medesimo di qualsiasi altra donna lavoratrice. Nell’ambito dell’arte ho percepito spesso la discriminazione di genere e purtroppo, spesso, attuato dalle stesse donne “
“Le artiste con figli sono viste come un problema piuttosto che come una risorsa. Siamo dispendiose e impegnative se invitate in residenza. Per alcuni galleristi non siamo un buon investimento, dato che non siamo disposte a sacrificare tutta la nostra vita privata per la nostra produzione creativa, e forse non corrispondiamo neanche a quell'immaginario bohémien dell'artista totalmente perso ed immerso nella sua ricerca e nel suo creare. In verità noi lavoriamo il triplo per poter far fronte alle esigenze che la produzione creativa e quella familiare ci richiedono e non esiste in Italia nessuna forma di aiuto o di agevolazione dedicata alla nostra categoria “
“Se fossi rimasta un'Italia non so se avrei avuto dei bambini. In Francia è un po’ più facile, ma lo status di artista e mamma è abbastanza acrobatico, come se la carriera esigesse una forma di monachesimo mondano “
"Mi è stato detto più volte che il mio lavoro, se fosse stato fatto da un uomo, sarebbe stato meglio considerato perché in quanto donna poteva essere riletto superficialmente come pizzo"
De mulieribus claris, Giovanni Boccaccio (1361- 6)
Giovanni Boccaccio, famoso letterato e poeta italiano, autore, tra le altre cose del Decamerone, scrisse un'opera in latino in cui raccolse i profili di 106 figure femminili dell'antichità e del Medioevo. Tra queste donne figurano alcune artiste, come testimoniano queste due miniature tratte dal manoscritto. Anche se i libri di storia dell'arte non riportano i nomi e le opere di queste artiste, fin dall'antichità ci furono donne che si dedicarono alla pittura e alla scultura.
Durante il Medioevo era considerato disdicevole che una donna si dedicasse all'arte; allo stesso modo era considerata l'istruzione femminile, anche se si diffuse l'uso, da parte delle famiglie aristocratiche, di mandare le figlie in convento per ricevere un'istruzione che le preparasse alla vita di corte ed è proprio attraverso questo canale che le donne poterono avvicinarsi alle arti.
Vediamo ora alcune artiste dal periodo rinascimentale fino ai nostri giorni, attraverso le loro opere. Naturalmente non è un elenco completo, ma spero risulti abbastanza significativo da permettere di comprendere come le donne anche nel mondo dell'arte abbiano tutte le carte in regola per essere considerate al pari dei loro colleghi maschi e che, fondamentalmente, il talento è talento, senza ulteriori specificazioni di genere.
Artemisia Gentileschi (Roma 1593 - Napoli 1656 ca)
Artemisia è figlia Orazio Gentileschi, un pittore manierista che si avvicinò allo stile di Caravaggio. Rimasta orfana di mamma all'età di due anni, venne allevata dal padre e si avvicinò molto presto alla pittura. Il padre le fu maestro e seppe valorizzare il talento innato della figlia.
Orazio le insegnò, anzitutto, a preparare i materiali da utilizzare per la realizzazione dei dipinti: la macinazione dei pigmenti, l'estrazione e la purificazione degli oli, il confezionamento dei pennelli, la preparazione delle tele.
Appena fu in grado di gestire gli strumenti del mestiere, Artemisia iniziò a copiare le xilografie che il padre possedeva e che riproducevano opere di artisti importanti. Allo stesso tempo, la bambina sostituì la madre nella conduzione della casa e nella cura dei tre fratelli più piccoli.
Al tempo, la pittura era considerata una pratica quasi esclusivamente maschile e Artemisia non poté quindi seguire il percorso di apprendimento dei colleghi maschi. Il padre fu dunque, almeno per i primi anni, il suo unico maestro e anche se Caravaggio frequentava la casa e lo studio di Orazio, Artemisia si avvicinò allo stile del grande pittore barocco in modo indiretto, attraverso le opere del padre.
All'età di 15 anni divenne a tutti gli effetti collaboratrice del padre e iniziò a realizzare piccole opere autonome.
Qui la vediamo in un autoritratto. Intenta a dipingere e con in mano tavolozza e pennelli, l'opera e una affermazione della sua identità di artista.
Il padre era molto orgoglioso dei progressi della figlia tanto che ne scrisse grandi lodi in una lettera indirizzata alla granduchessa di Toscana:
«Questa femina, come è piaciuto a Dio, avendola drizzata nelle professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso adir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere che forse i prencipali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere»
(Gianni Colosio, L'annunciazione nella pittura italiana da Giotto a Tiepolo, Teseo, 2002, p. 632.)
Nel 1611, Orazio chiese ad Agostino Tassi, abile pittore di trompe-l'oeil con cui aveva collaborato per alcune commissioni, di istruire la figlia nella prospettiva. Il Tassi, approfittando dell'assenza di Orazio, violentò Artemisia nella sua casa. Il Tassi, come era uso al tempo, propose alla ragazza un matrimonio riparatore, tuttavia impossibile, dal momento che era già sposato. A questo punto Orazio denunciò il Tassi al Papa e ne seguì un processo che Artemisia affrontò con grande coraggio nonostante le torture alle quali venne sottoposta, secondo l'uso del tempo, per accertare la veridicità delle sue affermazioni.
Il Tassi venne condannato, ma la vicenda lasciò dei segni profondi nell'animo di Artemisia e che sono chiaramente percepibili in molte sue opere. Dopo la conclusione del processo, Orazio fece sposare la figlia ad un pittore fiorentino (Pierantonio Stiattesi). Artemisia si stabilì a Firenze dove ottenne un notevole successo e costruì relazioni importanti.
Fu la prima donna ad essere ammessa all'Accademia delle arti del disegno di Firenze. Il matrimonio non fu felice e il marito dilapidò buona parte dei suoi beni, contraendo tantissimi debiti. Artemisia lasciò il marito e ritornò a Roma, infine si trasferì a Napoli, salvo poi raggiungere il padre a Londra su richiesta del re Carlo I, presso il quale il padre era diventato pittore di corte. Anche qui ebbe grande successo e ricevette importanti commissioni.
Alla morte del padre tornò a Napoli dove visse e lavorò fino alla morte, probabilmente per peste intorno al 1656.
Giuditta e Oloferne è un'opera di grande drammaticità nella quale Artemisia racconta la storia biblica della giovane eroina israelita che uccide il generale che teneva sotto assedio la città di Betulia al tempo di Nabucodonosor.
La critica è unanime nel ritenere che l'interpretazione di grande violenza e tensione drammatica sia dovuta alle vicende personali dell'artista.
Credo che sia particolarmente utile confrontare l'opera di Artemisia con quella di Caravaggio sullo stesso soggetto: la potenza interpretativa della Gentileschi supera di gran lunga quella di Caravaggio.
Sofonisba Anguissola (Cremona 1532 - Palermo 1625)
Il padre di Sofonisba era un nobile di origini nobili veneziane e faceva parte del Consiglio dei Decurioni che governava la città di Cremona per conto di Filippo II, re di Spagna. Amante dell'arte e ben inserito nella società cremonese, era sensibile ai fermenti culturali che percorrevano l'Italia e l'Europa.
Pur essendo di nobili origini, la famiglia versava in condizioni economiche precarie, pertanto, Amilcare, padre di Sofonisba, avviò i sette figli (un maschio e sei femmine) allo studio di letteratura, pittura e musica, in modo che, specialmente le figlie, per le quali non sarebbe stato in grado di provvedere una dote adeguata, potessero mantenersi autonomamente.
Sofonisba non fu la sola a dedicarsi all'arte come professione: quattro delle sue sorelle, Elena, Lucia, Europa e Anna Maria divennero anch'esse pittrici. Elena, in seguito, abbandonò la carriera artistica per diventare una monaca domenicana. La quinta sorella, Minerva, fu insegnante di latino e scrittrice, mentre l'unico fratello, Asdrubale, studiò latino e diventò musicista. Alla morte del padre (1573), Sofonisba provvide al mantenimento del fratello.
Sofonisba ed Elena vennero affidate al pittore lombardo Bernardino Campi, nella cui casa rimasero, come ospiti paganti per tre anni. Successivamente, quando il Campi si trasferì a Milano, Sofonisba ebbe come maestro Bernardo Gatti. Entrambi questi pittori manieristi insegnarono a Sofonisba quanto serviva per dedicarsi alla pittura in modo professionale e, in particolare al ritratto.
Tra le prime opere, Sofonisba realizza un suo autoritratto. Anche nel suo caso, come per Artemisia Gentileschi, il ritratto evidenzia la sua scelta a dedicarsi alla pittura in modo professionale.
La fama di Sofonisba come pittrice si diffuse a partire dagli anni 50 del 1500. Il padre inviò a Michelangelo Buonarroti alcuni disegni della figlia; il grande maestro ne apprezzò il talento. Nel disegno, Sofonisba aveva ritratto l'espressione del pianto e l’istante di dolore del fratello Asdrubale, morso da un granchio e consolato dalla sorella Europa.
Più tardi, Caravaggio si ispirò a questo disegno per il suo Ragazzo morso da un ramarro.
La giovane pittrice partecipò come figura di spicco alla vita artistica delle corti italiane, per le particolari doti di ritrattista.
Nel 1559 venne chiamata a Madrid da Federico II di Spagna come insegnante di pittura della futura regina, Elisabetta di Valois, figlia di Enrico II, re di Francia.
Eseguì i ritratti di quasi tutti i membri della famiglia reale, pur non essendo insignita del titolo di pittore ufficiale di corte.
All'età di circa quarant'anni, nel 1573, sposò il nobile Fabrizio Moncada, fratello del viceré di Sicilia e si trasferì a Paternò nel palazzo del marito con la cospicua dote assegnatale da Federico II. Dopo solo cinque anni di matrimonio, Sofonisba rimase vedova (il marito rimase ucciso durante un attacco pirata mentre si stava recando in Spagna) e decise di tornare a Cremona.
Nel 1579 sposò Orazio Lomellini, nobile genovese, si trasferì a Genova e vi rimase per i successivi 35 anni, sempre dipingendo. Nel 1615 tornò a Palermo col secondo marito e continuò a dipingere, nonostante un forte calo della vista che alla fine la costrinse ad abbandonare la sua attività di pittrice. Aveva raggiunto ormai una grandissima fama a livello europeo. Antoon Van Dyck, che le succedette come pittore ufficiale presso la corte spagnola, le espresse la sua ammirazione e, in occasione del suo incontro a Palermo con l'ormai anziana pittrice, realizzò un suo ritratto. Sofonisba morì l'anno successivo, 1625.
Presso la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia è conservato il Ritratto di Canonico lateranense di Sofonisba; accanto a questo, si trova un piccolo dipinto col Ritratto di Europa Anguissola bambina, realizzato dalla sorella Lucia. Entrambi questi dipinti facevano parte della collezione del conte Paolo Tosio.
Rosalba Carriera (Venezia 1675 - 1757)
Rosalba era figlia di un cancelliere della Serenissima e di un'abile merlettaia. Insieme alle sorelle ebbe il privilegio di poter ricevere un'ottima educazione in letteratura, poesia e musica (violino) oltreché in francese e inglese. Visto il suo talento artistico, studiò pittura presso la bottega di un pittore veneziano e iniziò a realizzare graziose miniature su tabacchiere.
Intorno al 1703 appaiono i suoi primi lavori a pastello, tecnica che la renderà famosa in tutta Europa. Nel 1705 venne accettata nell'Accademia Nazionale di San Luca di Roma, un'associazione di artisti professionisti.
La sua fama cresce rapidamente e nel 1708 esegue il ritratto di Filippo IV di Danimarca che soggiorna per alcuni mesi a Venezia. L'anno seguente realizza un suo autoritratto, conservato presso la Galleria degli Uffizi di Firenze.
Nel 1720 parte per Parigi, insieme al cognato Antonio Pellegrini, anche lui pittore. Durante il soggiorno parigino, che dura un anno e mezzo, realizza circa una quarantina di ritratti di cui il più noto è quello del giovane Luigi XV attualmente conservato presso la Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda. Fu lei che lanciò la moda dei ritratti a pastello nella capitale francese
aprile Rosalba1757)
Sempre nel 1720 viene eletta membro dell'Accademia reale di pittura e scultura di Parigi. Commissioni importanti le vengono da tutta Europa. Nel 1746 si ammala agli occhi e nonostante si faccia operare di cataratta diventa completamente cieca. Muore a Venezia nel 1757.
Berthe Morisot (Bourges 1841 – Parigi 1895)
Berthe Morisot nasce in un'agiata famiglia borghese: il padre era un funzionario statale d’alto rango, mentre la madre era la pronipote del celebre pittore Jean-Honoré Fragonard.
Nel 1851 i Morisot si trasferiscono a Passy, nei pressi di Parigi e aprono la loro casa ad artisti e intellettuali che contribuiscono a creare un clima di grande rinnovamento.
Per la Morisot, tuttavia, l'Accademia era inaccessibile, perché l'Accademia di Belle Arti di Parigi avrebbe aperto le proprie porte alle donne solo nel 1897. Per questo motivo, dopo aver appreso i rudimenti della pittura dai genitori, la Morisot frequentò corsi presso gli studi di alcuni pittori apprendendo, dapprima, la maniera neoclassica e avvicinandosi poi a quella romantica.
Insofferente per le convenzioni accademiche, si avvicina ai pittori della Scuola di Barbizon, un gruppo di artisti che si ritrovano a dipingere en plein air, e in particolare a Jean-Baptiste Camille Corot. In questa nuova esperienza Berthe mise a frutto le proprie ricerche sulla luce e sui colori. Fu amica intima di Édouard Manet, per il quale posò in diversi dipinti. Nel 1874 sposò Eugène, fratello di Manet.
Berthe Morisot divenne a tutti gli effetti un'artista impressionista, ricordata tra i fondatori del movimento.
Dal punto di vista tematico la Morisot si cimentò in marine, paesaggi, ritratti en plein air e numerosi altri generi. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che molti ritenevano disdicevole per una donna la professione di pittrice: anche la sua arte risentì di questi pregiudizi, che le diedero grandissime difficoltà a dipingere all'aperto o in luoghi pubblici e la resero pertanto indifferente ed estranea alle questioni sociali che agitavano la vita parigina in quei decenni. Per questo motivo la Morisot maturò una predilezione per il mondo femminile e, soprattutto, domestico, compiacendosi di rappresentare i particolari delle vesti femminili con grande abilità.
Berthe diede i risultati più alti dipingendo interni e scene casalinghe, con donne eleganti della media e alta borghesia ritratte in casa o in giardino, in varie ore della giornata. Ricorrendo frequentemente ai tagli fotografici, così come faceva Degas.
Nonostante le sue immagini restituiscano in genere una sensazione radiosa, Berthe non fu mai però un'artista superficiale: un dato costante della sua arte è infatti l'analisi interiore dei personaggi, condotta con grande penetrazione psicologica, probabilmente influenzata in questo dall'amicizia con molti letterati, in particolare Stéphane Mallarmé.
Mary Cassat (Pittsburgh 1844 - Château de Beaufresne 1926)
Mary Cassat nasce negli Stati Uniti vicino a Pittsburgh, in Pennsylvania. Di famiglia molto agiata e colta.
Cresce in un ambiente che considera i viaggi come parte integrante della formazione; trascorre cinque anni in Europa, visitando molte delle capitali del continente, tra cui Londra, Parigi e Berlino. Mentre si trova all'estero impara il tedesco e il francese e prende le prime lezioni di musica e disegno.
Il suo primo incontro con gli artisti francesi Ingres, Delacroix, Corot e Courbet avviene probabilmente durante l'Esposizione universale di Parigi del 1855. All'esposizione sono presenti con le loro opere anche Degas e Pissarro, che diventeranno colleghi e mentori della Cassatt.
Nonostante la famiglia si opponga alla sua decisione di diventare un'artista professionista, Mary Cassatt inizia a studiare pittura presso la Pennsylvania Academy of the Fine Arts di Filadelfia quando ha solo quindici anni. Continua gli studi durante il periodo della guerra di secessione.
Insofferente ai ritmi lenti degli studi e all'atteggiamento di superiorità nei suoi confronti degli studenti maschi e degli insegnanti, decide di studiare i grandi maestri europei da sola. Mary sceglie quindi di interrompere il corso (che all'epoca comunque non garantiva alcun titolo) e, superando le obiezioni del padre, nel 1866 si trasferisce a Parigi, accompagnata dalla madre e da alcune amiche di famiglia.
Impossibilitata a frequentare l'École des Beaux-Arts, prende lezioni private e accresce le proprie capacità tecniche e capacità recandosi quotidianamente al museo del Louvre a copiare le opere esposte (dopo aver ottenuto un regolare permesso, procedura resasi necessaria per tenere sotto controllo il numero dei copisti, di solito donne sottopagate, che affollano le sale per fare copie dei quadri e venderle). Il museo funge anche da luogo di incontro per le studentesse d'arte francesi e statunitensi alle quali, come alla Cassatt, non è consentito frequentare i café, dove invece si radunano gli esponenti dell'avanguardia dell'epoca.
Nel 1868 uno dei dipinti di Mary, da lei presentato con il nome di Mary Stevenson, Un suonatore di mandolino, viene accettato dalla giuria che effettua la selezione per il Salon di Parigi.
Mentre gli artisti francesi si distaccano dalla tradizione accademica per muoversi verso l'impressionismo, Mary continua a lavorare secondo lo stile romantico, ancora per una decina di anni
Rientrata negli Stati Uniti verso la fine dell'estate del 1870, a causa dell'imminente scoppio della guerra franco-prussiana, Mary va a vivere con la famiglia. Il padre continua ad opporsi alla carriera che si è scelta, e si limita a finanziare le sue esigenze di base, ma non il materiale per poter dipingere.
Riesce ad esporre due dipinti in una galleria d'arte di New York, dove trova molti ammiratori ma nessun acquirente. Nella residenza estiva della famiglia si trova quindi anche a corto di colori e prende in considerazione l'idea di abbandonare l'arte, poiché è decisa a riuscire a condurre una vita economicamente indipendente.
In una lettera del luglio 1871 scrive: "Ho lasciato il mio studio e abbandonato il ritratto di mio padre, non ho toccato un pennello per sei settimane e non lo farò più fino a che non vedrò qualche possibilità di tornare in Europa. Sono molto impaziente di andare ad ovest il prossimo autunno e trovare un lavoro, ma non ho ancora deciso dove". Va a Chicago in cerca di fortuna, ma finisce per perdere molti dei suoi dipinti nel grande incendio del 1871.
Poco tempo dopo il suo lavoro attira l'attenzione dell'arcivescovo di Pittsburgh che le commissiona due copie di dipinti del Correggio che si trovano a Parma, in Italia e le anticipa una somma di denaro sufficiente per coprire le spese di viaggio e parte del soggiorno. Parte quindi di nuovo per l'Europa insieme a Emily Sartain, una giovane artista come lei, proveniente da una famiglia di artisti di Filadelfia.
Nell'autunno 1871, solo pochi mesi dopo il suo ritorno in Europa, le prospettive per Mary Cassatt migliorano decisamente. Il suo Due donne che lanciano fiori durante il Carnevale ottiene una buona accoglienza al Salon del 1872 e trova un acquirente. Incontra un'accoglienza ancor più calorosa a Parma, dove viene sostenuta e incoraggiata dalla comunità artistica locale: "Tutta Parma parla di Miss Cassatt e tutti sono impazienti di conoscerla".
Dopo aver portato a termine il lavoro affidatole dall'arcivescovo, Mary fa un viaggio a Madrid e Siviglia, dove realizza un gruppo di dipinti dal soggetto tipicamente spagnolo., tra cui Ballerina spagnola che indossa una mantilla di pizzi (1873).
L'anno successivo decide di fissare la propria residenza in Francia. Viene raggiunta dalla sorella Lydia e condivide un appartamento con lei. La sua posizione nei confronti del Salon diventa critica. Mary vede che le opere delle artiste sono spesso tolte e rifiutate con disprezzo, a meno che l'artista stessa non abbia un amico o un protettore all'interno della giuria, e lei non è disposta a flirtare con i giurati per ottenerne favori. Alcune sue opere, presentate al Salon, vengono escluse.
Cassatt decide che è meglio allontanarsi dalla pittura di genere e dedicarsi a soggetti più alla moda, per cercare di attirare commissioni per ritratti da parte della comunità statunitense all'estero, ma il tentativo inizialmente dà pochi frutti.
Invitata da Edgar Degas a mostrare i suoi lavori agli impressionisti, comincia a preparare dipinti per la successiva esposizione impressionista, in programma per il 1878 e che, dopo un rinvio dovuto all'esposizione universale, inizia il 10 aprile 1879. Con gli impressionisti si sente a proprio agio e aderisce alla loro causa con passione.
Dato che non può frequentare i café come i colleghi senza attirare attenzioni sgradevoli, li incontra in privato e alle mostre. Conta di raggiungere il successo commerciale, vendendo i dipinti ai parigini sofisticati che prediligono l'avanguardia. Nei due anni trascorsi il suo stile ha guadagnato in spontaneità. Mentre prima lavorava sempre in uno studio, ora ha preso l'abitudine di portare con sé un album per gli schizzi quando si trova all'aria aperta o a teatro, e di abbozzarvi le scene che vede.
La sua vita viene funestata dalla morte della sorella Lydia, che le ha fatto spesso da modella e con la quale vive. Il dolore la renderà incapace di lavorare per un certo periodo. Decisa a non sposarsi per poter continuare a dedicarsi liberamente alla professione artistica, viene ancora osteggiata dal padre che non la sostiene economicamente in questo sforzo.
Spaventata dall'idea di dover dipingere opere di scarso valore per far quadrare i conti, Mary si impegna a fondo per realizzare quadri di qualità per la successiva esposizione impressionista.
Degas esercita una notevole influenza su Mary, che diventa molto abile nell'uso dei pastelli, finendo per realizzare molti dei suoi lavori più importanti con questa tecnica. Degas le fa anche realizzare le prime opere all'acquaforte, tecnica nella quale è riconosciuto un maestro. I due lavorano fianco a fianco per un certo periodo, e la tecnica di disegno di Mary migliora notevolmente sotto la guida dell'artista francese.
Il suo stile si evolve continuamente e infine si distacca dall'impressionismo in favore di un approccio alla pittura più semplice e diretto. Mary inizia anche ad esporre le proprie opere nelle gallerie di New York. Dopo il 1886 non si identifica più con alcun movimento artistico, sperimentando invece una varietà di tecniche diverse.
Camille Claudel (Fère-en-Tardenois, 1864 – Montfavet 1943)
Camille proviene da una famiglia borghese agiata e fin da bambina manifesta grande talento per la scultura, prima da autodidatta e successivamente sotto la guida di un maestro. Il padre l'asseconda in questa sua passione, mentre la madre le è violentemente avversa.
Quando la famiglia si trasferisce a Parigi, Camille inizia a frequentare i corsi privati dell'Accademia Colarossi, sotto la guida del maestro Alfred Boucher e affitta uno studio insieme a due studentesse del corso di scultura. Quando il maestro Alfred Boucher si trasferisce a Roma, Auguste Rodin lo sostituisce. Camille diventa la sua assistente e tra i due nasce una relazione tumultuosa che durerà una decina di anni, con l'intermezzo di una breve relazione col compositore Claude Debussy. Alla morte del padre, nel 1913, la madre la fa internare in un manicomio dove morirà all'età di 78 anni, a causa della malnutrizione. Trascrivo qui la traduzione di una lettera scritta al dottor Michaux nel 1917 dal manicomio, da cui è possibile capire come i pregiudizi del tempo furono sufficienti ad accanirsi su questa donna nonostante fosse sana di mente.
«Signor dottore,
forse voi non vi ricorderete della vostra ex-paziente e vicina, M.lle Claudel, che fu portata via da casa sua il 13 marzo 1913 e condotta in manicomio, da dove, forse, non uscirà mai più. Sono cinque anni, tra poco sei, che subisco questo terribile martirio. Ero stata dapprima portata nel manicomio di Ville-Evrard, e poi, in un secondo momento, in quello di Montdevergues, vicino Montfavet (Vaucluse). Inutile descrivervi le mie sofferenze. Ultimamente ho scritto a Monsieur Adam, avvocato, a cui mi avevate gentilmente consigliato di rivolgermi, e che in passato mi aveva difesa con successo, pregandolo di occuparsi del mio caso. Ma, in questa circostanza, un vostro consiglio sarebbe necessario perché voi siete un uomo di grande esperienza e, come medico, molto competente sulla questione. Vi prego dunque di prendervi cura del mio caso, insieme a M. Adam, e riflettere su cosa potete fare per me. Per quanto riguarda la mia famiglia non c’è niente da fare: sotto l’influenza di persone malvagie, mia madre, mio fratello e mia sorella non ascoltano che le calunnie da cui sono stata investita. Mi si rimprovera (crimine orribile!) di aver vissuto da sola, di avere dei gatti in casa, di soffrire di manie di persecuzione! È sulla base di queste accuse che sono incarcerata da cinque anni e mezzo come una criminale, privata della libertà, privata del cibo, del fuoco e dei più elementari conforti. Ho spiegato a M. Adam in una lunga lettera gli altri motivi che hanno contribuito alla mia reclusione, e vi prego di leggerla attentamente per rendervi conto di tutti i dettagli del caso.
Forse voi potreste, come dottore in medicina, usare la vostra influenza a mio favore. In ogni caso, se non si vuole concedermi la libertà subito, preferirei essere trasferita alla Salpêtrière o a Sainte-Anne oppure all’ospedale ordinario, dove voi potreste venire a visitarmi per rendervi conto della mia salute. Qui per me vengono pagati 150 franchi al mese, e dovreste vedere come vengo trattata; la mia famiglia non si occupa di me e non risponde alle mie proteste che con il mutismo più assoluto, così vien fatto di me quel che si vuole. È orribile essere abbandonata in questo modo, non posso impedirmi di essere sopraffatta dal dolore. Spero che possiate fare qualche cosa per me, e, ben inteso, nel caso in cui avrete delle spese da sostenere, vi rimborserò per intero.
Mi auguro che non abbiate dovuto subire alcuna disgrazia a causa di questa maledetta guerra, che vostro figlio non abbia sofferto in trincea e che Madame Michaux e i vostri giovani figli siano in buona salute. C’è un'altra cosa che vi chiedo: quando andrete a far visita alla famiglia Merklen, riferite a tutti quel che mi è successo.
Mia madre e mia sorella hanno dato ordine di tenermi isolata nel modo più completo, alcune delle mie lettere non partono e alcune visite non arrivano.
Oltretutto mia sorella si è impossessata della mia eredità e ci tiene molto al fatto che io non esca mai di prigione. Vi prego di non scrivermi qui e di non dire che vi ho scritto, perché vi sto scrivendo in segreto contro i regolamenti dello stabilimento e se si venisse a sapere mi troverei nei guai!»
Al funerale era presente solo il personale del manicomio. Il suo corpo non venne reclamato dalla famiglia e venne sepolto in una fossa comune.
Il grande talento di Camille è visibile nelle sue numerose opere oggi raccolte nel Musée Camille Claudel, inaugurato nel 2017 a Nogent-sur-Seine
Jeanne Hébuterne (Meaux 1898 - Parigi 1920)
Jeanne Hébuterne nasce in una famiglia della piccola borghesia. Il fratello André, pittore, si accorge del suo talento artistico e la spinge ad iscriversi alla École Nationale des Arts décoratifs all’Académie Colarossi di Parigi, dove incontrerà il pittore Amedeo Modigliani. Jeanne ne diventerà modella e compagna in una storia d'amore intensa e osteggiata dalla famiglia che si concluderà con il suo suicidio.
Jeanne e Amedeo si conoscono nel febbraio del 1917, lei ha diciannove anni, lui trentatré. Lei è timida e malinconica, ma con una forte intelligenza e notevoli doti artistiche, lui è già un pittore maledetto, squattrinato, alcolizzato, drogato, malato di tubercolosi e per di più ebreo.
Vivranno per tre anni un amore intenso e disperato. Ma il talento di Jeanne verrà purtroppo totalmente offuscato dalla personalità e dall'arte di lui.
I genitori di Jeanne sono assolutamente contrari a questa unione che ostacolano con ogni mezzo, obbligandola a tornare a casa a dormire tutte le sere. Nel luglio del 1917 Jeanne lascia definitivamente la casa paterna per andare a vivere con Amedeo in un bugigattolo freddo e pieno di spifferi pagato da Léopold Zborowski, mercante d’arte, mentore e mecenate di alcuni pittori di Montparnasse, tra i quali Utrillo, Chagall, Soutine e lo stesso Modigliani.
Nel marzo del 1918 Jeanne scopre di essere incinta, mentre le condizioni di salute di Amedeo peggiorano. Zborowski invita la coppia ad andare con lui e la moglie a Nizza, sperando che il clima mite potesse far migliorare l'amico. Qui vengono raggiunti da alcuni amici e dalla madre di Jeanne. La convivenza si fa sempre più difficile, specie quando Amedeo torna a casa ubriaco. Il 29 novembre del 1918 nasce Jeanne. Amedeo Modigliani, al colmo della felicità, si reca all'ufficio dell'anagrafe per il riconoscimento, fermatosi più volte lungo la strada per bere, lo troverà chiuso. La piccola Jeanne prenderà il cognome Modigliani solo perché, alla morte dei genitori, verrà adottata dalla sorella del pittore.
Jeanne e Amedeo sono totalmente incapaci di occuparsi della bambina; quindi, trovano una bambinaia che possa occuparsi di lei. I due vivono con un sussidio di 600 franchi al mese passato loro da Zborowski, ma Amedeo spende quasi tutto in alcolici. Nel maggio del 1919 Modigliani torna a Parigi lasciando la compagna e la figlia in Costa Azzurra, ma verso la fine di giugno Jeanne scopre di essere nuovamente incinta e raggiunge Amedeo.
La salute di Amedeo peggiora, ma rifiuta di farsi curare. Il loro rapporto continua tra momenti di grande tenerezza ed altri anche brutali. Jeanne è totalmente sottomessa e non trova la forza e il coraggio per reagire o chiedere aiuto. I due vivono in estrema povertà e degrado. Il 22 gennaio del 1920 viene sfondata la porta del loro alloggio: i due sono senza conoscenza, Amedeo, ormai in coma, viene portato in ospedale dove morirà due giorni dopo; Jeanne, al nono mese di gravidanza, si rifugia a casa dei genitori dopo aver fatto visita all'ospedale al compagno ormai morto. Il fratello André le tiene compagnia durante la notte, ma Jeanne, al mattino, si getta da una finestra del quinto piano e muore insieme al figlio che porta in grembo.
Frida Kahlo (Città del Messico 1907 - 1954)
Nata nel 1907 in un villaggio alla periferia di Città del Messico, era figlia di un fotografo tedesco e di una donna benestante messicana di origini spagnole e amerinde. Le piaceva dire di essere nata nel 1910 perché si sentiva profondamente figlia della rivoluzione messicana di quell'anno. Affetta da spina bifida, fin dall'adolescenza manifestò una forte personalità, insieme ad un singolare talento artistico. Aveva uno spirito indipendente e passionale, ribelle nei confronti di ogni convenzione sociale.
Aspirava a diventare medico e s'iscrisse alla Escuela Nacional preparatoria dove si legò ad un gruppo di studenti che sostenevano il socialismo nazionale e iniziò, per divertimento, a dipingere i ritratti dei compagni di studio.
Nel settembre del 1925, all'età di 18 anni, la sua vita venne sconvolta da un incidente: l'autobus, su cui era salita per tornare a casa da scuola, si scontrò con un tram. Frida riportò ferite gravissime: la colonna vertebrale le si spezzò in tre punti nella regione lombare, si fratturò il collo del femore e le costole, la gamba sinistra riportò undici fratture, mentre il passamano dell'autobus le trafisse l'anca sinistra; il piede destro rimase slogato e schiacciato, la spalla sinistra restò lussata e l'osso pelvico si ruppe in tre punti.
Subì 32 operazioni chirurgiche. Dimessa dall'ospedale, fu costretta a un riposo forzato e ad indossare un busto di gesso. Durante i lunghi mesi di malattia, lesse molti libri sul movimento comunista e si dedicò alla pittura. Il suo primo lavoro fu un autoritratto. I genitori, allora, decisero di regalarle un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto e dei colori, così cominciò una serie di autoritratti. Quando le fu rimosso il gesso, cominciò a camminare con atroci dolori che l'accompagnarono per tutta la vita.
L'arte era diventata la sua ragione d'essere e, decisa a contribuire economicamente alla famiglia, decise di sottoporre i suoi lavori a Diego Rivera, illustre pittore dell'epoca.
Rivera rimase colpito dal suo stile e la prese sotto la propria ala e la inserì nella scena politica e culturale messicana. Divenne un'attivista del Partito Comunista Messicano, cui si iscrisse nel 1928, partecipando a diverse manifestazioni.
Nel 1929 sposò Diego Rivera. La relazione durò tutta la vita, nonostante i frequenti tradimenti e un divorzio (1939) conclusosi con un nuovo matrimonio l'anno successivo.
Come conseguenza dei continui tradimenti, anche Frida ebbe numerosi rapporti extraconiugali, comprendenti anche relazioni omosessuali.
Intorno al 1930 Frida seguì il marito negli USA, dove rimasero per quattro anni. In questo periodo Diego realizzò diversi murales tra cui gli affreschi per l'Esposizione Universale di Chicago e il murales all'interno del Rockefeller Center di New York. Quando però i committenti si resero conto che Rivera aveva inserito nel dipinto del Rockfeller Center la figura di un operaio col volto di Lenin, le commissioni gli vennero revocate.
Durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, Frida era rimasta incinta, ma abortì spontaneamente a causa delle sue condizioni di salute. Questo fatto la segnò profondamente.
A questo periodo appartiene il dipinto Il mio vestito è appeso là (1933) in cui Frida mette insieme elementi della cultura americana e la nostalgia per la sua terra. Il dipinto appare come un collage delle icone della moderna società industriale americana sullo sfondo del porto di New York. Gli elementi frammentari e l'incendio in basso a sinistra evocano la decadenza dei valori umani della società americana. A differenza della maggior parte dei suoi dipinti, qui la figura di Frida è assente, sostituita dal suo vestito, un abito tradizionale messicano, come a dire che il suo cuore era rimasto in Messico.
Al periodo del divorzio, appartiene il famoso dipinto Le due Frida.
Su uno sfondo temporalesco si stagliano le due figure che rappresentano le due anime di Frida: quella europea, legata alla famiglia del padre di origine tedesco-ebraica e quella messicana, rappresentata dalla figura in abiti popolari. Le due figure femminili si tengono per mano, sottolineando così la coesistenza delle due anime culturali dell'artista. Nel suo tipico realismo magico, le due figure hanno il cuore esposto, a sottolineare la sofferenza del momento, legata al tradimento di Diego con la sorella di lei. La pinza chirurgica rende evidente la decisione presa da Frida di separarsi dal marito infedele, decisione sofferta, ma necessaria.
Da Diego Frida assimila uno stile naïf, che la porta ad ispirarsi all'arte popolare messicana e alla tradizione precolombiana. Anche il suo modo di vestire rende esplicita la sua scelta di affermare la sua identità messicana.
Tra le sue relazioni, il rivoluzionario russo Lev Trotskj, il poeta André Breton, padre del Surrealismo, e Tina Modotti, militante comunista grande fotografa.
Nel 1953 le venne amputata la gamba sinistra a causa di un'infezione, morì di embolia polmonare il 13 luglio del 1954. Le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo.
Georgia O'Keefee
Tina Modotti
Tamara de Lempicka
Natal'ja Sergeevna Gončarova
Marina Abramović
Louise Joséphine Bourgeois
Sonia Terk Delaunay
Francesca Woodman
Vanessa Beecroft
Yayoi Kusama
Berni Searle
Kara Walker
Judy Chikago (Yje Dinner Party)
Barbara Kruger (Survivor)
Shirin Neshat
Pippa Bacca
Zehra Doğan
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