Dantedì
Da qualche anno il 25 marzo si celebra la giornata nazionale dedicata a Dante.
Anche nella nostra scuola si celebra questa giornata con una attività che prende le mosse da una serie di opere d'arte che illustrano alcuni passi dell'opera sicuramente più conosciuta di Dante: la Divina Commedia.
Galleria Dantesca
Analisi dell'opera
Sandro Botticelli, Ritratto di Dante Alighieri (1495 ca.); tempera su tela, 54,7×47,5 cm; collocazione: collezione privata (Ginevra)
-
L'opera è un dipinto a tempera su tela.
-
Ha formato verticale, che ben si adatta al soggetto del ritratto.
-
La tecnica prevede l'utilizzo di campiture uniformi sulle quali l'artista interviene col chiaroscuro grazie a pennellate morbide che conferiscono tridimensionalità agli elementi rappresentati, senza lasciare tracce evidenti degli strumenti utilizzati.
In questo dipinto, Dante è ritratto di profilo, come in molti ritratti di uomini illustri del tempo.
Lo sfondo chiaro e uniforme permette di dare rilievo alla figura.
Il viso caratteristico del poeta è descritto in modo plastico per mezzo del chiaroscuro che ne evidenzia i volumi.
Dante indossa una toga rossa con colletto da cui spunta il colletto bianco di una camicia. Sul capo vediamo una cuffia bianca con paraorecchie sulla quale il poeta indossa un cappuccio dello stesso colore della toga. Questo è il tipico abbigliamento maschile del 1300.
La corona di alloro identifica il soggetto come poeta.
Presso gli antichi greci, l'alloro era la panta sacra ad Apollo e veniva utilizzata per incoronare gli atleti vittoriosi e gli eroi che si erano distinti in battaglia. L'uso si diffuse anche presso i romani, con lo stesso significato di sapienza e di gloria. Durante il periodo Repubblicano, la corona d'oro a forma di corona di alloro divenne una delle massime onorificenze.
Il motivo per cui venne scelto l'alloro per questa funzione è legato al fatto che questa è una pianta sempreverde cresce tutto l'anno e in questo modo è associato all'eternità e all'immortalità.
Per questi motivi, la corona di alloro posta sulla testa di Dante, è segno di un letterato che, grazie ai suoi versi, ha ottenuto una fama universalmente riconosciuta di poeta che va oltre il tempo in cui ha vissuto.
Dante col libro della Commedia di Domenico di Michelino
Domenico di Michelino su disegno di Alesso Baldovinetti, Dante col libro della Commedia, tre regni e la città di Firenze (1465); tempera su tela (232 x 292 cm; Cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze
L'opera conservata nel Duomo di Firenze, nonostante sia stata dipinta nel '400, presenta degli elementi stilistici legati al periodo gotico. La cornice neogotica in cui è contenuto il dipinto è stata aggiunta dopo un restauro ottocentesco dell'opera.
Il dipinto su tela è realizzato con la tecnica della tempera e ha formato rettangolare con andamento orizzontale: il formato generalmente riservato al paesaggio.
Il dipinto venne commissionato a Domenico di Michelino dall'Opera di Santa Maria del Fiore per celebrare i duecento anni dalla nascita di Dante Alighieri nel 1465. Il dipinto allegorico ha lo scopo di esaltare la memoria del poeta nella principale chiesa fiorentina.
La figura di Dante è collocata appena a destra del centro del quadro e ci colpisce per la dimensione, chiaramente non proporzionata a quella degli altri elementi presenti nella scena. Un po' come avveniva nei periodi precedenti, bizantino e gotico, la dimensione del soggetto principale rispecchia la sua importanza.
Il quadro è organizzato in modo da contenere i tre regni descritti della Divina commedia oltre alla città di Firenze. Nella fascia più alta dell'opera si vedono le sfere del Paradiso rappresentate come un arcobaleno dipinto con sfumature crescenti di azzurro e disseminate dagli astri. A destra del poeta vediamo la città di Firenze, in secondo piano, a sinistra del poeta, vi è la montagna del Purgatorio, mentre sul lato sinistro del quadro vi è una sorta di fortezza in cui si apre la porta che conduce all'Inferno.
Con la mano destra Dante indica la scena laterale dove, attraverso una porta medievale, si entra nell'Inferno, l'oscuro regno dei dannati, accolti da orribili figure demoniache. Sul portale campeggia il IX verso del III canto dell'Inferno: 'Lasciate ogni speranza voi ch'entrate'. Il corteo dei dannati scende nelle viscere dell'Inferno in cui li attendono fiamme eterne e tormenti.
Nella fascia più bassa del dipinto, una didascalia riporta il seguente testo in latino, scritto in lettere capitali:
'QUI COELUM CECINIT MEDIUMQUE TRIBUNAL LUSTRAVIT QUE ANIMO CUNCTA POETA SUO DOCTUS ADEST DANTES SUA QUEM FLORENTIA SAEPE/ SENSIIT CONSILIUS AC PIETATE PATREM NIL POTUIT TANTO MORS SAEVA NOCERE POETAE QUEM VIVUM VIRTUS CARMEN IMAGO FACIT'
Tento una traduzione con le mie reminiscenze scolastiche: 'Colui che cantò del cielo e delle altre due regioni, quella di mezzo (Purgatorio) e quella in cui le anime sono giudicate (Inferno), esaminando tutto nello spirito, lui è qui, Dante, il nostro sommo poeta, nella cui devozione spesso Firenze ha ritrovato un padre, saggio e forte. La morte non poteva recare danno a un tale bardo che seppe dipingere con le parole un poema vivo e carico di virtù.'
Dante, dunque, indossa una toga rossa su un abito nero e ha il capo cinto di alloro. Nella mano sinistra regge il libro della Divina Commedia aperto sulla pagina dell'esordio in cui possiamo leggere i primi versi con cui si apre il primo canto dell'Inferno.
L'ingrandimento ci permette di vedere come il testo sia scritto di seguito e senza spazi tra una parola e l'altra, con un'ortografia antica ('mezo' invece che mezzo; 'chamino' invece che cammino).
Possiamo osservare come dal libro si dipartano dei raggi che vanno ad illuminare la città di Firenze che è rappresentata a destra del poeta.
L'opera di Dante, dunque, dà fama alla città.
La Firenze qui rappresentata è quella quattrocentesca con la Cattedrale e la Cupola del Brunelleschi, già coronata dalla palla di bronzo ricoperta d’oro e dalla croce, che al tempo del dipinto non erano state ancora eseguite, ma che l’artista aveva visto nel modello progettato dal Brunelleschi nel 1419.
Si vedono anche le mura della seconda cerchia, iniziata nel 1172, le torri del Bargello, della chiesa della Badia fiorentina, del Palazzo Vecchio e il Campanile di Giotto.
In secondo piano si eleva il monte del Purgatorio. Davanti al portale dorato che permette di accedere al Paradiso c'è l'Arcangelo Michele con ali colorate, simili a quelle degli angeli del periodo bizantino; Michele impugna la spada con la quale allontana le anime di coloro che, morti in uno stato di grazia imperfetta, non sono ancora pronti ad accedere al Paradiso e dovranno fare penitenza prima di entrarvi. Sulla cima del monte del Purgatorio ci sono Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre.
La voragine infernale
Tra il 1480 e il 1495, Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico, commissionò a Sandro Botticelli 100 disegni su pergamena per illustrare un manoscritto della Divina Commedia. I disegni per la Divina Commedia conosciuti sono 92, ma solo questo che rappresenta la voragine infernale è stato completato.
I fogli, di pergamena di pecora, misurano circa 32,5 cm di altezza e 47,5 cm di larghezza.
Sandro Botticelli, La voragine infernale (1480 - 1495); punta d'argento e inchiostro su pergamena; 32,5×47,5 cm; collocazione: Biblioteca Apostolica Vaticana
Per la realizzazione di questo disegno, Botticelli si è servito di diversi strumenti: per le linee basilari della composizione ha utilizzato lo stilo d'argento con piombo; i contorni li ha poi ripassati a penna e inchiostro ocra, o oro, o nero. I colori sono aggiunti con la tempera.
La Voragine Infernale è una suggestiva rappresentazione globale dell'Inferno dantesco: un grande imbuto, con qualche elemento architettonico e con figure miniaturizzate, una sorta di riassunto delle successive scene dell'Inferno. L'intera opera rappresenta un continuum narrativo, una sequenza del viaggio letterario, didattico, morale, filosofico in cui Dante e Virgilio vengono rappresentati più volte mentre esplorano i vari gironi.
Sandro Botticelli è uno dei maggiori artisti fiorentini del Primo Rinascimento ('400).
Non è un caso che Botticelli abbia realizzato il ritratto di Dante Alighieri: il pittore, infatti, realizzò diverse raffinate illustrazioni della Divina Commedia.
Attualmente sono note 94 incisioni, conservate nel Gabinetto delle Incisioni al Rame di Berlino e nella Biblioteca Vaticana. Sono inoltre attribuiti a Botticelli anche 19 schizzi da cui l'incisore Baccio Baldini ricavò le illustrazioni per la prima stampa del testo della Divina Commedia (1481).
Sandro Botticelli, Ritratto di Dante Alighieri (1495 ca.); tempera su tela, 54,7×47,5 cm; collocazione: collezione privata (Ginevra)
Dante (1265 -1321) era morto da più di un secolo, quindi Botticelli, per dipingere questo ritratto, si è ispirato a precedenti raffigurazioni.
Il primo ritratto di Dante è stato identificato in un affresco di Giotto dipinto nel Palazzo del Bargello di Firenze, l'antica sede del podestà della città.
Un'altra opera, che sicuramente Botticelli conosceva, era il dipinto a tempera di Domenico di Michelino che si trova nel Duomo di Firenze (1465) in cui Dante è rappresentato col volume della Divina Commedia in mano, di cui parleremo in seguito.
Ritratto di Dante di Sandro Botticelli
La barca di Dante (VIII canto dell'Inferno)
Eugène Delacroix è un artista romantico francese che ama rappresentare temi storici e letterari, prendendo spunto da Shakespeare, Goethe, Tasso, Byron, Walter Scott e Dante. La Barca di Dante è il suo primo dipinto ad olio presentato al pubblico.
-
Il dipinto ad olio ha formato rettangolare con orientamento orizzontale.
-
La composizione dell'opera è piramidale e dinamica a causa delle linee di forza che attraversano le figure e interagiscono in modo da restituire il senso di una scena concitata.
Eugène Delacroix, La barca di Dante (1822); olio su tela, 189×246 cm; Musée du Louvre, Parigi
Delacroix apprezzava molto l'opera di Gericault La zattera della Medusa e molti elementi ce lo ricordano: la figura di Flegias, dall'anatomia michelangiolesca, le acque tumultuose e i corpi sospesi nell'acqua.
-
Lo sfondo del dipinto è un cielo tenebroso e temporalesco caratterizzato da toni freddi cui sulla sinistra si mescolano i toni caldi di una città in fiamme, la città di Dite, verso la quale la barca si sta dirigendo.
-
In secondo piano il pittore colloca la barca di Flegias, il custode del V girone dell'inferno, popolato da iracondi e ignavi; Flegias, qui in veste di barcaiolo è ritratto di spalle, nudo e parzialmente coperto da un mantello blu mentre manovra con forza un remo, con una voga che ricorda quella dei gondolieri veneziani, nelle acque fangose dello Stige, la palude puzzolente che circonda la città e in cui sono immersi i dannati del V.
-
Sulla barca, accanto a lui, ci sono il poeta latino Virgilio, riconoscibile dalla corona di alloro, e avvolto in un mantello marrone, e Dante, che indossa una toga verde e un cappuccio rosso.
-
Le acque della palude Stige sono agitate per la presenza dei dannati che si affollano intorno alla barca: gli iracondi azzannano ferocemente il legno dell'imbarcazione e si mordono l'un l'altro: tra loro Dante riconosce il fiorentino Filippo Argenti, che cerca di rovesciare la barca aggrappandovisi con tutto il proprio peso. Gli ignavi, invece, si reggono alla barca e si lasciano trascinare sulle onde.
-
Dante solleva le braccia, spaventato dalla foga dei dannati. Virgilio, invece ha un atteggiamento calmo, afferra la mano sinistra di Dante, cercando di rassicurarlo.
Come è proprio dello stile romantico, le forze ostili della natura e i personaggi dei dannati contribuiscono a creare un clima minaccioso e angosciante.
Flegias è una figura eroica che si oppone con determinazione alle forze negative nonostante l'immane pericolo. I dannati rappresentano due aspetti della natura umana vista in negativo: quella più bestiale di chi si lascia dominare dalla furia ceca dell'ira (iracondi) e quella 'mollezza' di coloro che si lasciano trascinare dalle vicende della vita: senza mai prendere una decisione, sprecando il proprio tempo e i propri talenti (ignavi).
Francesca da Rimini e Paolo Malatesta appaiono a Dante e Virgilio di Ary Scheffer (V canto dell'Inferno)
Ary Scheffer, Francesca da Rimini e Paolo Malatesta appaiono a Dante e Virgilio (1835); olio su tela, 166.5 x 234 cm; collocazione: Wallace Collection, Londra
Ary Scheffer è un pittore olandese, che ben presto si stabilisce a Parigi. Nonostante in Francia si vada affermando il movimento romantico, Scheffer mantiene uno stile neoclassico, basato su un impianto disegnativo minuzioso e caratterizzato da una pittura estremamente accurato e razionale.
La prima versione di questo dipinto venne esposta nel 1835 nella stessa sala in cui era appesa la Barca di Dante di Delacroix.
Il dipinto di forma rettangolare e andamento orizzontale è dominato dai toni scuri dello sfondo in cui si distinguono Dante e Virgilio che osservano con sguardo quasi scientifico due figure che si lasciano
trascinare dal vortice che caratterizza il secondo girone dell'Inferno: quello dei lussuriosi. Paolo Malatesta e Francesca da Rimini non oppongono resistenza, non strepitano e non urlano, come gli altri dannati di questo girone.
La struttura del quadro è dinamica, dovuta alla disposizione diagonale e ricurva dei corpi dei due soggetti principali del dipinto.
Dante descrive una violenta bufera con venti contrari che si incrociano trascinando le anime davanti a un precipizio, e ogni volta urlano, gridano, piangono, bestemmiano. Costretti a farsi trascinare violentemente dai venti come nella loro vita si sono fatti trascinare dall’istinto invece che dalla ragione, i lussuriosi sono tutti morti di morte violenta a causa dell’amore a cui non hanno saputo resistere durante la loro esistenza.
Di tutta questa violenza non c'è traccia nel dipinto di Scheffer; Paolo e Francesca non sembrano trascinati dalla bufera, ma piuttosto adagiati su un divano. Scheffer sceglie un approccio neoclassico che esclude elementi legati ad emozioni forti.
Nel dipinto, immerso nel buio che anche Dante descrive, spicca la luce che emana dalle figure: è la luce dell'amore che lega per l'eternità i due amanti.
La storia di Paolo e Francesca
Dante, conosceva la storia dei due sfortunati amanti attraverso il racconto del fratello di Francesca. È Francesca che, richiamata da Dante, racconta la storia della sua vita e della sua morte tra le lacrime, mentre Paolo rimane in silenzio. Il padre di Francesca, Guido da Polenta, aveva costretto la figlia a sposare Giovanni Malatesta per motivi politici. Francesca, però, si innamorò del cognato, Paolo e intrattenne con lui una relazione per circa dieci anni, fino a quando il marito li sorprese a baciarsi mentre erano intenti a leggere la storia d'amore tra Ginevra e Lancillotto. Giovanni uccise la moglie e il fratello con la sua spada. Nel dipinto si notano, sul petto di Paolo e sulla schiena di Francesca, le ferite causate dalla spada.
Pia de' Tolomei di Dante Gabriel Rossetti (canto V del Purgatorio)
Dante Gabriel Rossetti, Pia de' Tolomei (La Pia), 1868; olio su tela, 105,4×120,6 cm; collocazione: Spencer Art Museum, Lawrence (Kansas)
Il dipinto ha formato quadrato. I colori utilizzati dal pittore, pur essendo limpidi, non sono squillanti: il dipinto, anche attraverso la scelta tonale, comunica un generale senso di tristezza. La composizione è dominata da due linee di forza: una è data dall'ipotenusa del triangolo della meridiana appoggiata sulla balaustra in primo piano; la seconda segue la linea prospettica che disegna il pavimento del terrazzo del castello dove si svolge la scena. La linea di forza è rinforzata dalla presenza a terra di un fascio di aste metalliche reggi-bandiera.
Come nei dipinti di Giovanni Bellini all'inizio del Secondo Rinascimento, la balaustra isola il soggetto del quadro e lo separa dal mondo dell'osservatore, confinandolo in un isolamento che caratterizza fortemente la scena del dipinto.
La figura di Pia è seduta con le spalle contro il muro di un torrione; la schiena è incurvata, il collo e la testa proseguono la curvatura della schiena. Le mani intrecciate in grembo tormentano nervosamente l'anello nuziale.
La figura malinconica di Pia, con lo sguardo triste e lontano, perso nei propri pensieri, si ispira ad una famosa incisione di Albrecht
Dante Gabriel Rossetti, insieme a John Everet Millais e William Hunt, è uno dei fondatori del movimento preraffaellita (Pre-Raffaellite Brotherhood). Questo movimento nasce in Inghilterra in epoca vittoriana.
Il termine preraffaelita è un riferimento all'arte esistita prima di Raffaello Sanzio che gli esponenti di questo movimento ritenevano colpevole di aver "inquinato l'arte esaltando l'idealizzazione della natura e il sacrificio della realtà in nome della bellezza", permettendo così gli sviluppi dell'accademismo, che questi artisti rifiutavano.
Oltre al rifiuto dell'arte accademica, i Preraffaelliti si ponevano l'obiettivo di riportare in vita i costumi di un passato nostalgico e immaginario, tentando, inoltre, di unificare i concetti di vita, arte, e bellezza.
I temi ai quali si sono maggiormente ispirati includono quelli biblici, letterari, fiabeschi, storici e in particolare medievali; sono presenti anche temi patriottici e sociali.
Ispirati alla pittura rinascimentale e medioevale nonché alla cultura del purismo pittorico e dei Nazareni, i pittori preraffaeliti riproducevano, attraverso un panneggio delicato, figure elaborate e luminose. I loro dipinti sono spesso rievocativi, e presentano generalmente riferimenti allegorici e simbolici. Gran parte dei dipinti Preraffaeliti raffigurano soggetti femminili sensuali ed eleganti
Dürer dedicata proprio alla malinconia (Melancolia, 1514). Gli oggetti sulla balaustra narrano i pensieri della giovane donna: la meridiana è legata al lento scorrere del tempo nel suo isolamento, i fogli sparsi alludono a delle lettere che la giovane legge e rilegge nell'esilio in cui il marito l'ha relegata, in un lontano possedimento in una zona malsana della Maremma Toscana; il libro delle Ore e il rosario rappresentano le sole attività di preghiera che scandiscono la sua giornata.
Quasi tutto il quadro è occupato dal muro della torre e solo un pezzetto di paesaggio, anch'esso grigio e malinconico, descrive il luogo in cui si trova il castello: una landa desolata e paludosa. A ridosso dei merli del castello si vede una campana, che probabilmente scandisce le ore della preghiera. In cielo volano dei corvi che si avvicinano al luogo in cui si trova Pia. I corvi sono presagio di sventura e alludono alla morte.
Completano il quadro due piante: l'edera, simbolo di fedeltà e il fico, che potrebbe sia alludere alla dolcezza della vita, ma qui, molto più probabilmente, alla lussuria, dando una chiave di lettura della scena. Pia, sospettata di adulterio, è stata confinata dal marito in questo sperduto possedimento dove troverà la morte.
In realtà non si hanno notizie certe su questo personaggio e Dante stesso non svela il mistero. Nel passaggio del Purgatorio, Pia chiede sommessamente a Dante di ricordarsi di lei.
Dante, guidato da Virgilio, offre consolazione alle anime degli invidiosi di Hippolyte Flandrin (XIII canto del Purgatorio)
Hippolyte Flandrin, Dante guidato da Virgilio offre consolazione agli invidiosi (1835); olio su tela, 298 x 244,8 cm; Musée de Beaux Arts de Lion
Hippolyte Flandrin è pittore neoclassico, allievo di Dominique Ingres.
Flandrin inizia a dipingere il quadro nel 1834 mentre si trovava a Roma per aver vinto una borsa di studio. L'opera venne esposta a Parigi nel 1836 e poco dopo venne acquistata dal Museo delle Belle arti di Lione, città natale di Flandrin.
Il dipinto è rettangolare e ha una disposizione verticale.
La composizione è caratterizzata dal taglio prospettico di una scoscesa parete rocciosa che dà profondità alla scena. Il massiccio roccioso ricorda quello del Jura, che si trova non lontano da Lione.
Un taglio di luce, che procede obliquamente da sinistra verso destra, interseca la precedente linea di forza. La scena si svolge su una sporgenza orizzontale sulla quale trovano posto tutti i personaggi.
A ridosso della roccia, i peccatori sono accovacciati l'uno vicino all'altro in una fila che continua a snodarsi in lontananza anche dietro i due principali personaggi.
Il quadro è suddiviso verticalmente in due parti:
a sinistra c'è il gruppo principale degli invidiosi che occupano sostanzialmente un ingombro rettangolare che si sviluppa in orizzontale; a destra troviamo le due figure di Dante e Virgilio che occupano un ingombro rettangolare disposto in verticale. Grazie a queste accortezze, il quadro ha un andamento dinamico.
Flandrin studia accuratamente le pose dei personaggi in modo da farci percepire la loro stanchezza per la condizione nella quale si trovano. Gli abiti grigi e il pallore ci ricordano che sono dei defunti.
Dante e Virgilio sono illuminati dalla luce, inoltre l'abbigliamento rosso di Dante lo rende il fulcro dell'opera.
Il poeta si china leggermente per ascoltare uno dei peccatori, un uomo anziano con la barba, l'unico che alza la testa per conversare con i due visitatori. Lo sguardo di Dante esprime compassione.
Virgilio, invece rimane assiste alla scena senza mostrare partecipazione emotiva.
Vergine Madre di Gustave Dorè (canto XXXIII del Paradiso)
Non ho trovato indicazioni certe riguardo alla tecnica utilizzata per la realizzazione di questa illustrazione. Molte incisioni dedicate alla Divina Commedia sono state realizzate
Gustave Doré è un artista francese del periodo romantico. Autodidatta, mostra uno spiccato talento per il disegno fin dall'età di sei anni. La sua formazione avviene nelle sale del Louvre. la sua primissima esperienza artistica risale all'età di quindici anni, quando si mise a pubblicare disegni per il giornale La caricature.
Artista poliedrico, Doré si è misurato con tutte le tecniche e i formati: pittura, acquerello, disegno, scultura, incisione e con svariati generi pittorici, realizzando in questo modo quadri giganteschi e tele più piccole; brillanti e luminosi acquarelli, disegni a inchiostro sfumato di grande virtuosismo tecnico, vignette graffianti realizzate a penna, incisioni, illustrazioni bizzarre e perfino sculture barocche, stravaganti, monumentali, enigmatiche.
L'artista è noto soprattutto per la sua vasta produzione come illustratore di vari generi letterari: romanzi, poesie, fiabe, ma anche di opere più complesse come la Bibbia e La Divina Commedia di Dante.
Dopo il 1870 Doré, deciso a non intraprendere più illustrazioni di complesse opere letterarie, iniziò a dedicarsi principalmente alla pittura e alla scultura, discipline nelle quali non riuscirà però a riscuotere il successo che aveva riscosso come incisore.
con la xilografia, ma ve ne sono anche molte realizzate su matrici di rame con puntasecca, acquaforte e acquatinta.
Osservando l'immagine, che comunque non ha una risoluzione molto alta, si intravvede una texture di segni ondulati che sembrano riconducibili alle venature della matrice di legno di una xilografia.
La composizione di questa illustrazione si basa sul cerchio, o meglio, su una serie di cerchi concentrici che conducono ad una figura centrale, quella di Maria, da cui sembra aver origine la luce sfolgorante che annulla i particolari degli angeli che stanno dietro di lei. Maria, rappresentata come una giovane donna dai capelli neri, mossi e fluenti, ha il capo cinto da una corona e circondato da un'aureola, ed è seduta al centro della Candida Rosa, su un petalo fatto di nuvole.
In primo piano, su un altro petalo, trovano posto dei personaggi più grandi, disposti in modo simmetrico ma con atteggiamenti diversi l'uno dall'altro. La maggior parte di questi sono angeli con grandi ali e lunghi abiti e sono rivolti verso Maria.
Dante si rivolge a Beatrice, che lo ha guidato fino a questo punto ma lei scompare alla sua vista e viene sostituita dalla figura di un vecchio dalla barba bianca. Si tratta di Bernardo di Chiaravalle, che guiderà Dante nell'ultima parte del suo viaggio e che di lì a poco pronuncerà una invocazione a Maria perché Dante possa vedere Dio.
L'illustrazione è accompagnata dai versi 133-135 del XXI canto del Paradiso:
'Vidi quivi a lor giuochi quivi e a' lor canti
ridere una bellezza, che letizia
era ne li occhi a tutti li altri santi'
in cui Dante descrive il clima giocoso e festoso della folla degli angeli che volano intorno a Maria e che ne causa il riso, che a sua volta si riflette nello sguardo soddidente dei presenti.